venerdì 2 ottobre 2015

Fascia e latte di mamma, o del camminare lieve e dolce, in compagnia.

Spesso le mamme che incontro ai corsi e in consulenza, così come girovagando nei diversi gruppi virtuali e non, mi chiedono se si possa portare in fascia e contemporaneamente allattare, e se si, come sia possibile farlo: dev’essere comodissimo e davvero molto pratico! Ma è facile? Che legature sono più indicate, e che tipo di porta bebè? 

Questa mia riflessione per la Settimana Internazionale del Portare, che come ogni anno nel nostro Paese si fonde con la Settimana Mondiale dell’Allattamento, non va al cuore della tecnica, dell’ “how to” (per questo ed altri aspetti rimando all’ottimo articolo scritto a quattro mani da Tullia della Moglie e Tiziana Catanzani), ma vuole soffermarsi su “altro”. E’ una breve riflessione che vorrei fare insieme a voi, sul tempo che scorre e sull’osservarsi, sul sentirsi, mentre la grande rivoluzione della maternità si compie,
con più o meno clamore, nelle nostre vite. Buona lettura.


Anni fa, ormai sembra passata una vita ma sono solo sei anni fa, nasceva mia figlia. Ebbi problemi con l’allattarla all’inizio, come purtroppo altre donne, a causa delle cattiva informazione e allo scarso supporto in materia. Scoprii quasi subito le magie della fascia, grazie alla quale riuscivo a sentirmi bene, una mamma “sufficientemente buona” alla Winnicott, nonostante ragadi, un riflesso di emissione forte che ci impediva di goderci il momento della poppata e altri piccoli disagi. Non avevo nemmeno idea che si potesse allattare in fascia (era il lontano 2009!), e se anche l’avessi saputo credo non ci avrei nemmeno provato perché con la nostra situazione sarebbe stato un po’ difficoltoso, tra zampilli incontrollabili, colpi di tosse e urla di poppante! 


Chissà, forse allattando in fascia sarei stata facilitata in alcune situazioni di vita vissuta, ma ad ogni modo sopravvivemmo ugualmente, fino ad arrivare, due anni dopo, alla nascita del nostro secondo bimbo, un maschietto stavolta. Ora era tutto diverso: avevo più competenze, più informazioni, l’allattamento fu molto più facile ed appagante per entrambi. Se era vero che avevo più competenze, era anche vero che avevo meno tempo! Meno tempo per tutto, finanche per sedermi e “stare”, cosa che con la prima figlia, tutto sommato, riuscivo a fare… Adesso ero madre di due figli, e la maggiore, la mia signorina, mi reclamava ancora di più, dovevo esserci, essere presente per lei, accompagnarla mentre faceva le prime corse nel parco o raccoglieva foglie secche e fiorellini nelle aiuole. Scoprii che potevo allattare in fascia, onestamente non ricordo come, ma presumo guardando video e video su Youtube, il che all’epoca era una delle mie attività preferite! Nonostante il riflesso di emissione forte, il mio bimbo aveva imparato ben presto come gestire il flusso di latte, per cui anche in fascia non c’erano problemi, ed iniziammo ad usare questo “metodo” della poppata “portata” abbastanza di frequente quando uscivamo e non potevo sedermi per dargli il seno. In questo caso l’allattamento in fascia mi è stato utile… Eppure non mi dicevo: “Wow, perché non l’ho fatto anche con Alessandra??”


Perché? Perché da mamma sentivo e sapevo che i miei bambini erano diversi (uguali e diversi, le magie delle combinazioni tra i geni!), diversamente poppavano, e appunto con la mia bambina non avrei potuto mettere in atto questa cosa molto pratica del poter allattare in un supporto porta bebè. Quindi, verrebbe da dire, dipende dal bambino? Ci sono bambini che possono essere allattati in fascia ed altri che invece non possono? Sarebbe troppo facile! E veramente riduttivo… E falso, dopotutto. Mamma e bebè sono una diade, un sistema composto da due incognite sfuggenti, incatturabili, una danza a due passionale e imprevedibile come solo il tango può essere. Se ogni bimbo è diverso, lo è ogni mamma, ed anche ogni mamma con ciascuno dei suoi figli… Che poi noi donne, lo dicono da sempre i poeti, siamo mutevoli come la Luna, si sa! 


E come la Luna abbiamo molti volti, molti lati che vorremmo mostrare e lasciar esprimere tutti, non vorremmo rinunciare a nessuno di essi: similmente alla dea Kalì dalle tante braccia, non vogliamo o possiamo farne a meno di nessuno. Siamo madri, ma siamo anche donne, amiche, figlie, mogli, compagne, lavoratrici, artiste, equilibriste, sognatrici... Siamo un caleidoscopio di potenzialità, di possibilità. Con una leggera inclinazione al “Ci penso io” in agguato dietro l’angolo, forse per dimostrare che si, siamo brave a fare un po’ tutto, da sole, senza aiuto. Anche e soprattutto quando arrivano i figli…


La fascia porta bebè, ormai è risaputo, tra i diversi vantaggi ci regala due braccia extra per fare un po’ di cose, piccole grandi azioni nel quotidiano che ci rendono felicemente autosufficienti e rafforzano la nostra autostima: siamo mamme dinamiche che escono da sole, senza bisogno di nonne/zie/tate al seguito, siamo competenti nell’accudire il nostro bambino, siamo informate, capaci, forti. A volte un po’ troppo. In certi momenti il rischio, non inverosimile, è proprio quello di sentirsi totalmente indipendenti, come se gli altri attorno a noi non fossero così importanti. Tendiamo pericolosamente a strafare, a prendere sulle nostre spalle troppi carichi, più di quanto possiamo sopportare, e non chiediamo aiuto, non deleghiamo. “Vabbè, vado io a comprare le casse d’acqua minerale… Vado in fascia, ce la faccio!” E altre scene simili, potrei elencarne un po’ visto che ci sono passata in prima persona.


Cosa c’entra con l’allattare in fascia tutto questo? Avete ragione, arrivo al punto. Come ho scritto più sopra, l’allattamento in fascia ha sicuramente il vantaggio di essere pratico, utilissimo in certe situazioni dove non ci si può sedere, quando si è per strada, al supermercato… Ma ci sono anche svantaggi? Contro? Ovviamente il mio è un punto di vista, e forse volutamente un po’ provocatorio, di sicuro vuole essere uno spunto per riflettere sulla nostra condizione di donne-mamme moderne. Direi che si, esistono svantaggi nell’allattare in fascia. Non parlo dell’azione fatta alla bisogna, quando se ne ha la necessità pratica. Parlo di una condizione ripetuta nel tempo, dove anche quando potremmo/vorremmo sederci per un po’ con il nostro bambino per offrirgli il seno alla fine non lo facciamo, indossiamo la fascia e allattiamo così, perché magari dobbiamo fare altro. La lista può essere lunghissima e varia: dobbiamo pulire casa, lavorare al pc, truccarci, insomma, decidiamo di fare qualcos’ altro mentre nutriamo (non solo nutriamo… Allattare è anche contatto, rassicurazione, coccola) nostro figlio. Quel mentre è volutamente in corsivo… Quante altre cose facciamo e/o pensiamo mentre siamo impegnati in altro? Qual è il tempo del fare, dell’azione che si sta svolgendo qui e ora? Siamo realmente presenti, ci siamo per e con il nostro bambino, mentre gli porgiamo un seno distratte da mille altre cose e pensieri? E ancora, quanto si può dilatare quel mentre? Quante altre cose e pensieri possiamo metterci dentro, allungandolo, tirandolo in lungo e largo, a dismisura, come fosse di gomma, intanto che le nostre spalle si fanno sempre più oberate di zavorra materiale e immateriale? 


Io penso che nella vita ci venga dato un orologio speciale, un po’ magico, e il funzionamento lo decidiamo noi, con le nostre scelte ed azioni concrete. Possiamo scegliere di passare l’esistenza a guardare il quadrante, tormentati dall’angoscia del tempo che passa, o possiamo nascondere l’orologio facendo finta che non esista, e intanto ci buttiamo a capofitto nella vita confidando in una giovinezza eterna… O possiamo tenere con noi l’orologio, mettendolo in tasca, sentendo il ticchettio dei minuti che passano, e intanto vivere. Poi fermarci. Tirare fuori dalla tasca l’orologio, guardarlo, vedere che una quantità di tempo è andata via, riprendere il cammino con una consapevolezza diversa (prima avevo x minuti, ora ne ho x-y). E così via. Penso che i figli siano una grande opportunità per iniziare a convivere serenamente con l’orologio, per vivere appieno il presente ottimizzando un (eventuale!) futuro. Sta a noi decidere come vivere, entro determinate sfere d’azione, certo.


Vi lascio con un augurio, un’esortazione pratica che rivolgo anche a me stessa. Portiamo i nostri figli, allattiamoli, giochiamo con loro, coccoliamoli, ma quando ci dedichiamo a queste attività facciamolo con il cuore e la mente  sgombri e con il corpo impegnato a fare solo quello. Loro ce ne saranno grati, ma anche noi stessi ne trarremo giovamento.


Buona Settimana del Portare, buon babywearing a tutti!


N.b: questo post nasce da una richiesta della mia cara collega e amica Adele Ricci, della Scuola del Portare. L'articolo verrà pubblicato in contemporanea sul sito della Scuola




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